L“«Art meets entertainment»: l’arte incontra l’intrattenimento. Fino a fondersi nell’«Artainment». È questa l’esplicita prospettiva dell’attuale stagione di spettacoli digitali, multimediali, immersivi dedicati all’archeologia e all’arte figurativa.
Le caratteristiche fondamentali sono l’uso massiccio di ingrandimenti, animazioni delle singole figure e dettagli, enfatici commenti musicali. Lo scopo è quello di «lasciare il pubblico senza fiato», di annegarlo in un oceano di percezioni ed emozioni”.
Un vero Giudizio Universale! Sì, perché queste parole critiche dello storico dell’arte Tomaso Montanari sono state suscitate dall’imminente debutto (15 marzo), negli spazi eccezionali dell’Auditorium di via della Conciliazione a Roma, dello show di Marco Balich Giudizio Universale. Michelangelo and the secrets of the Sistine. È un progetto da nove milioni di euro che vuole mettere in scena il capolavoro della Cappella Sistina e il suo autore con lo sfarzo e lo sforzo di un ‘oggetto teatrale non identificato’ che ingloba musical, cinema, danza acrobatica e tecno-magie di vario genere.
Tomaso Montanari polemizza sfiduciato : “all’arte non serve il viagra”. Balich sogna.
Forse non serve pensare all’arte di Michelangelo e all’artainment come antagonisti. Possono coesistere, ignorarsi, integrarsi. Sarebbe triste che Michelangelo non riuscisse più a emozionare, sarebbe ingenuo pensare che solo l’aura dell’originale possa emozionare.
Oltretutto nel back-stage dello show di Balich, possiamo immaginare una ricca tradizione di tradimenti più o meno recenti, dal film I colori della passione di Lech Majewski che nel 2011 ha realizzato una straordinaria fantasia mimetica facendoci vivere forme, colori e personaggi della Salita al Calvario (1564) di Pieter Bruegel il Vecchio, sino a Loving Vincent (2017, Dorota Kobiela e Hugh Welchman), il primo film interamente dipinto ad olio che trasforma i quadri di Van Gogh in inquadrature animate della sua vita. Poi ci sono i vari son et lumière che promettono di farvi vivere Monet e Pontormo come non li avete mai visti: forse sarebbe il caso invece di concedersi uno spettacolo dal vivo, a Santa Felicita o a Giverny.
Bisogna credere che Balich non voglia sostituire l’esperienza dell’arte, ma fare dell’arte la materia delle sue invenzioni. Che vi sia nella scelta una convenienza (mediatica) è certo, ma davanti alla bellezza che ci promette, deporre il pregiudizio conviene anche di più.